(1867-1914), poeta, narratore e critico, figura di cerniera tra Ottocento e Novecento, dopo gli esordi scapigliati si avvicina al movimento futurista, da cui poi si distacca clamorosamente in aperto contrasto con le scelte poetiche (il paroliberismo) e ideologiche (il militarismo) di Marinetti (Come ho sorpassato il futurismo, 1913). Pubblica insieme alle prime raccolte di versi simbolisti (Il libro delle figurazioni ideali, 1894; Il libro delle imagini terrene, 1898), il romanzo Gian Pietro da Core (1895), che rielabora la tematica sociale di un precedente racconto di stampo zoliano (Spirito ribelle, 1888). Ai versi satirici degli Episodi dei drami delle Maschere (4 voll., 1898) seguono quelli programmatici di La prima ora della Academia (1902, ma datati 1895). Dal 1905 collabora a «Poesia» di Marinetti, per le cui edizioni pubblica Ragion poetica e programma del verso libero (1908). Alla stagione futurista appartengono i versi di Revolverate (1909) e La solita canzone del Melibeo (1910). Nell’ultimo periodo della sua vita, dominato dall’acuirsi della tubercolosi ossea, prevalgono gli scritti critico-saggistici, dall’appassionata rievocazione della scapigliatura lombarda (L’ora topica di Carlo Dossi, 1911) alla riproposta di aspetti vitali della tradizione (Giosuè Carducci, 1912), dalla rassegna dei Filosofi ultimi (1913) all’invettiva Antidannunziana (1914).